I conti… con l’etichetta

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A fine novembre 2024 la Corte dei conti europea ha pubblicato la relazione dal titolo “Etichettatura degli alimenti nell’UE – I consumatori possono perdersi nel labirinto delle etichette”. Questo report mi permette di ritornare su un argomento che avevo già trattato anni fa sollevando (ante litteram) alcune criticità evidenziate in modo chiaro e dettagliato dalla Corte. A cominciare dalla constatazione, non difficile da prevedere, che l’etichettatura dei prodotti alimentari sta diventando, o è già, un miscuglio di indicazioni dai contenuti eterogenei e non immediati da interpretare. A fronte, però, di sempre maggiori informazioni che gli stessi consumatori vorrebbero desumere dall’etichetta. Per esempio, per riconoscere le confezioni interessate dalla shrinkflation, o la sostenibilità ambientale e la qualità nutrizionale dell’alimento.

Il problema non è certo risolvibile solo avendo tempo per leggerle tutte. Soprattutto quando non c’è ancora un consumatore in grado di comprenderle appieno e di orientare conseguentemente le proprie scelte di consumo e acquisto. Eppure, sempre secondo la Corte, l’educazione dei consumatori non sembra una priorità per l’UE che, negli ultimi cinque anni, ha destinato solo qualche milione di euro alle campagne di sensibilizzazione sull’etichettatura degli alimenti. Non bastasse, a detta del report, le iniziative (già) attuate negli Stati membri risultano sporadiche, e i sistemi di controllo sulle informazioni volontarie risultano a volte inefficienti.

Anche le attuali (contrap)posizioni degli Stati membri su questo tipo di indicazioni nutrizionali volontarie non aiutano ad acculturare il consumatore. L’etichettatura “fronte pacco” sembra ridursi a un interminabile (a volte persino sterile) argomentare su semafori, batterie o quant’altro in funzione di dove ci si trovi in UE. Malgrado ciò, è la stessa Corte che raccomanda entro il 2027 l’armonizzazione dei sistemi di etichettatura, chiedendo in particolare di concentrarsi sui profili nutrizionali. Magari, a cominciare da alcune indicazioni apposte in etichetta per le quali non esiste una definizione valida in tutta l’UE. Come per l’uso dei termini “senza lattosio” e “a basso contenuto di lattosio”.

Suggerire ai consumatori scelte e comportamenti alimentari più corretti è un intento sacrosanto. Ho però l’impressione che pensare di farlo con decine di informazioni non sia garanzia di successo quando il consumatore (medio?) non ha ancora imparato a fare i conti con l’etichetta. Con queste premesse o, meglio, con le importanti criticità evidenziate dalla Corte, non è quindi improbabile che il consumatore possa fare scelte alimentari sulla base di una valutazione molto soggettiva delle informazioni stesse. Scelte, purtroppo, che a loro volta possono influenzare l’ambiente o il proprio benessere.

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