Tra le mura domestiche se ne consumano oltre 50.000 tonnellate. Per vivacizzare la domanda si punta sulle versioni più salutiste
Il burro è una commodity derivata dal latte, e in particolare dalla lavorazione dei formaggi, i cui volumi sono andati progressivamente calando negli anni fi no ad arrivare ad una situazione attuale di stagnazione. I dati uffi ciali ci dicono che dal 2007 al 2012 la produzione in Italia è passata da 115.000 a 94.000 tonnellate e i consumi apparenti (consumi domestici ed extradomestici, reimpieghi industriali e scarti di lavorazione; il consumo apparente è ottenuto dalla somma algebrica di produzione, saldo import-export e variazione delle scorte) sono scesi da 155.000 a 140.000 tonnellate. Nel nostro Paese il burro viene utilizzato come condimento o ingrediente e, in misura trascurabile, come vero e proprio alimento (per esempio il classico burro spalmato sul pane).
Questo spiega perché il mercato sia rimasto ancorato alle tipologie tradizionali di prodotto e caratterizzato da uno scarso grado di innovazione, sebbene da un certo punto in poi della sua storia la richiesta crescente di prodotti salutisti e l’attenzione alla dieta di molti consumatori abbia spinto l’introduzione di prodotti innovativi (a ridotto contenuto di grassi o colesterolo, salati ecc.) che rimangono comunque una nicchia. La penetrazione nelle famiglie si è stabilizzata intorno all’80% con differenziazioni territoriali (massima al Nord e minima al Sud) ma la frequenza di consumo è abbastanza bassa (5-10 atti d’acquisto la media annua) e soffre la concorrenza degli oli di oliva, degli oli di semi e, per motivi anche economici, della margarina, che sugli scaffali della distribuzione moderna ha un prezzo medio inferiore del 44% rispetto a quello del burro. Sostanzialmente si può dire che l’evoluzione del burro è stata infl uenzata principalmente dal mutamento di stili di vita (diminuzione dei pasti preparati e consumati in casa) e modelli alimentari (tendenze salutiste). Per i grandi gruppi lattiero-caseari il burro non è un prodotto strategico ma generalmente un completamento di gamma.
Questo è uno dei motivi per cui lo scenario competitivo è molto frammentato, basti pensare che nei format moderni i primi due player, vale a dire il Gruppo Lactalis e Granarolo hanno quote in volume inferiori al 6%. L’altro aspetto chiave dell’offerta è la forte presenza delle marche commerciali che totalizzano circa il 36% dei volumi nella distribuzione moderna e sono cresciute a scapito dei brand principali di un paio di punti percentuali negli ultimi tre anni. Questo dato è abbastanza signifi cativo della banalizzazione del prodotto verso il quale il consumatore ha un vissuto indifferenziato e spesso mette il prezzo al primo posto nella griglia di scelta.
Le private label hanno un posizionamento decisamente orientato alla convenienza, sugli scaffali non rappresentano il primo prezzo ma quasi: per dare un’idea, il prezzo medio del burro a marca commerciale ha un differenziale tra il 22% e il 35% rispetto ai principali competitor di marca (anche se il prezzo medio è riferito all’intero listino di prodotti e comprende quindi sia il burro tradizionale sia gli altri tipi e il burro salato, segmenti questi ultimi che hanno un valore aggiunto superiore e una presenza marginale delle private label).
Per le imprese il mercato è difficile, sia perché i consumi sono maturi e tra i più bassi d’Europa sia perché è soggetto all’alternanza di fasi di crescita tumultuosa o caduta dei listini. Le vendite nella distribuzione moderna sono sostanzialmente stabili in questi anni, con oscillazioni contenute in un senso o nell’altro ma, come ci fanno osservare in Nuova Prealpi, uno dei maggiori player del burro, si tratta di anni piuttosto complicati per il comparto in quanto, dal 2007 il tradizionale andamento dei prezzi nell’anno – che seguiva l’andamento della domanda, più bassa d’estate (luglio e agosto sono i mesi nei quali gli acquisti sono più bassi) e più alta d’inverno – è stato completamente sconvolto. C’è chi sostiene che il fenomeno sia causato dai processi di globalizzazione e chi lo attribuisce a speculazioni internazionali: il fatto certo è che ha portato a una estrema volatilità dei prezzi delle materie prime.
Il problema è che i margini non consentono di assorbire queste variazioni, per cui le aziende sono state costrette ad agire riducendo radicalmente, se non eliminando del tutto, le promozioni, cambiando in qualche modo la dinamica del mercato. In effetti, caso piuttosto anomalo nel food, la pressione promozionale nella Gdo è intorno al 22% delle vendite in valore ed è scesa di circa 2 punti rispetto al 2010. Come già osservato i consumi di burro sono poco dinamici, gli acquisti domestici nel 2013 hanno fatto segnare un calo dell’1,1% in volume e un incremento dell’1,7% in valore. Anche se è difficile fare innovazione le imprese cercano di rivitalizzare i consumi attraverso nuove proposte in grado soprattutto di allargare il target di consumo sul versante salutista.
Tra i player storicamente più innovativi vi è Prealpi che già una ventina d’anni fa aveva lanciato Nuovo Prealpi, il burro a basso contenuto di colesterolo che continua ad avere un buon trend, e successivamente Metàmetà Prealpi, il mélange composto per metà da burro e per metà da oli vegetali, introdotto quasi in contemporanea con Bio Prealpi. Più recentemente l’azienda ha puntato su altri prodotti innovativi: in particolare il prodotto che sta performando meglio è il burro chiarificato in lattina, tipologia che non contiene acqua e carboidrati e ha un plus nell’uso in cucina poiché non schizza o annerisce nell’utilizzo in padella, oltre ad avere una durata prolungata. In fase di lancio, un po’ rallentato dagli obblighi di legge per chi lo produce nel nostro Paese, è Free Prealpi, burro senza lattosio indirizzato a un target specifico, e in aumento, quello dei consumatori intolleranti a questo componente.
Le novità si concentrano quindi in particolare nell’area salutista e tra gli al tri prodotti si possono citare per esempio Butterfly Meggle, burro leggero senza lattosio e con il 40% di grassi rispetto all’82% del burro tradizionale, il burro ad alta digeribilità con meno dello 0,1% di lattosio di Stuffer e quello sempre a ridotto contenuto di lattosio di Latteria Soresina, mentre anche un’azienda specializzata nel burro come De Paoli ha in listino nella vasta gamma un burro a ridotto contenuto di colesterolo (estratto tramite vapore sotto vuoto senza l ’ausilio di mezzi chimici). Nell’area del burro standard la diversificazione è soprattutto verso la fascia di qualità con prodotti come il burro “tradizionale”, prodotto con panne ottenute dalla sola centrifugazione del latte, mentre per quanto riguarda il packaging la vaschetta di plastica o la lattina (e in minima parte il vasetto di vetro per alcuni burri speciali) sono le alternative alla classica carta o all’alluminio.
Se consideriamo i prodotti di marca, escludendo le marche commerciali, il pack più utilizzato è l’avvolgimento con carta con il 56,5% in valore, seguito dall’alluminio (37,7%), da vaschetta (3,6%) e lattina (1,7) con la quota restante per altre confezioni come vasetti in vetro, barattoli in plastica e scatole.